Albinati & Timi - Tuttalpiù muoio (2006)
Volevo un Albinati bis, dopo aver apprezzato “Vita e morte di un ingegnere”. In libreria prendo d’impulso l’unico libro che trovo, questo “Tuttalpiù muoio”: è di Albinati & Timi, per la verità, ma… non sto a sottilizzare. Inizio a leggere e ben presto evinco che è di Timi, il libro: di Filippo Timi, l’attor scrittore che, denominandosi Filo, parla di sé, si apre tutto, senza filtri e... senza cura, all’insegna del “viva la spontaneità”. Non mi piace, né quello che FT scrive, né come lo scrive. (Un esempio: “Il rispetto è un senso orribile come l’umiltà. L’arroganza è forse l’unico colore capace di non avere paura della vita. Nascere è arrogante, vivere, amare, pregare, morire, essere felici, sono tutte forme di presunzione. Una febbre divina. Essere umili, che vuol dire? Ogni creatura appena nata ha in sé un’unica dolcezza, un solo imperativo, il resto sono chiacchiere. Niente rimpianti nell’arroganza: l’arrogante muore, perde nella vittoria, non gli importa che alla fine gli dicano che aveva ragione. L’arrogante sveglia la coscienza che è possibile esistere e vivere fino in fondo.”)
E Albinati? Che c’entra, Albinati? Dev’essere giusto quell’amico - pag. 191 - che, avendo letto in anteprima - e forse tentato di correggere qua e là -, definisce “deliri” quelli di FT, pieni di “desolazione” e “squallore”; quell’amico che lo invita caldamente a scrivere, ogni tanto, anche “qualcosa di bello”... Sì, dev’essere proprio quell’amico inascoltato.
(Agli amici... lo sconsiglio.)
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