Leggiamo per arrivare alla fine, per amore della vicenda. Leggiamo per non
arrivarci, per amore della lettura in sé. Leggiamo seguendo una
traccia, come segugi, dimentichi di tutto ciò che ci circonda.
Leggiamo distrattamente, saltando le pagine. Leggiamo con disprezzo,
con ammirazione, con negligenza, con rabbia, con passione, con
invidia, con desiderio. Leggiamo nell'impeto del piacere immediato,
senza sapere quanto potrà durare. "Che cos'è questa emozione?"
si chiedeva Rebecca West dopo aver letto Re Lear. "Che rapporto
c'è tra i capolavori letterari e la mia vita, che cos'hanno per
rendermi così felice?" Non lo sappiamo; leggiamo con ignoranza.
Leggiamo con lenti, morbidi movimenti, come se fluttuassimo nello
spazio, senza peso. Leggiamo pieni di pregiudizi, con malignità.
Leggiamo generosamente, trovando buone scuse per le pecche del testo,
colmando insufficienze, correggendo errori. E talvolta, quando gli
dei sono propizi, leggiamo col fiato mozzo, rabbrividendo, come
qualcuno "camminasse sulla nostra tomba", come se la nostra
memoria avesse improvvisamente riportato alla luce un ricordo sepolto
chissà dove, facendoci riconoscere qualcosa che non sapevamo fosse
lì, o che avevamo solo vagamente intravisto, come un'ombra
sfuggente, uno spettro che scompare prima che possiamo rendercene
conto, lasciandoci più maturi e più saggi.
Alberto Manguel
Da: Una storia della lettura
(A History of Reading, 1996)
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