Walter Siti - Troppi paradisi (2006)
Nella prima metà, quasi a mo’ di saggio, “Troppi paradisi” parla di televisione: dunque dello specchio che deforma la realtà, che regala pure labili visioni paradisiache - ricche di lustrini e paillettes -, che trasforma le persone in “proiezioni immaginarie”, che induce nel quotidiano alla recita, dentro un grande Truman show...
Nella seconda metà parla soprattutto di sesso gay, scambiato perlopiù a pagamento, talora con parvenze d’amore: duecento pagine di “paradisi” orgasmici, di immissioni e accoglienze descritte nei dettagli, pagine presto noiose per la ripetitività e tristi per le condizioni del povero protagonista (un “personaggio fittizio” che ha il nome dell’autore), vittima di una “tensione quasi dolorosa dovuta al bisogno di tacitare un’ansia, più che di appagare un piacere” e di una componente masochistica che gli fa dire: “il mio paradiso è legato alla mia condanna, per me non c’è gioia se non pagata al prezzo della peggiore sofferenza, o accetto entrambe o nessuna”.
Walter Siti, già docente di Letteratura, scrive bene: nelle due parti descrive con chiarezza ed efficacia i due mondi, i loro “troppi paradisi” terreni. Ma esagera nella volgarità, delle situazioni più che dei termini, una volgarità ostentata, appena ammorbidita qua e là da certe venature ironiche. Il suo è un realismo narrativo che vuole evidentemente provocare reazioni, nella sacrosanta battaglia culturale per la libertà sessuale: che però qui pare sostanzialmente ridotta al diritto, procurato con ogni mezzo - soldi, farmaci, chirurgia... -, di godere a dismisura possedendo o essendo posseduti.
Nella seconda metà parla soprattutto di sesso gay, scambiato perlopiù a pagamento, talora con parvenze d’amore: duecento pagine di “paradisi” orgasmici, di immissioni e accoglienze descritte nei dettagli, pagine presto noiose per la ripetitività e tristi per le condizioni del povero protagonista (un “personaggio fittizio” che ha il nome dell’autore), vittima di una “tensione quasi dolorosa dovuta al bisogno di tacitare un’ansia, più che di appagare un piacere” e di una componente masochistica che gli fa dire: “il mio paradiso è legato alla mia condanna, per me non c’è gioia se non pagata al prezzo della peggiore sofferenza, o accetto entrambe o nessuna”.
Walter Siti, già docente di Letteratura, scrive bene: nelle due parti descrive con chiarezza ed efficacia i due mondi, i loro “troppi paradisi” terreni. Ma esagera nella volgarità, delle situazioni più che dei termini, una volgarità ostentata, appena ammorbidita qua e là da certe venature ironiche. Il suo è un realismo narrativo che vuole evidentemente provocare reazioni, nella sacrosanta battaglia culturale per la libertà sessuale: che però qui pare sostanzialmente ridotta al diritto, procurato con ogni mezzo - soldi, farmaci, chirurgia... -, di godere a dismisura possedendo o essendo posseduti.
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