Un quarto delle case italiane è disabitato, ma la superficie
cementificata (secondo i dati del censimento 2011) è raddoppiata negli ultimi
vent’anni. La produzione di cibo mondiale sarebbe in grado di sfamare dodici
miliardi di persone (stima Fao), ma circa un miliardo degli attuali viventi
patisce la fame, e secondo alcune stime non viene consumato circa il quaranta
per cento del cibo disponibile. È dunque la cattiva o maldestra o iniqua
gestione di ciò che abbiamo, a doverci preoccupare; non la quantità insufficiente
di beni, ma la qualità scadente della loro distribuzione e - soprattutto -
della distribuzione del potere d’acquisto tra gli umani. Nel mondo non si muore
di fame perché non c’è cibo a sufficienza, ma perché mancano i soldi per
comperarlo. In Italia non si è senza casa perché non ci sono case, ma perché ai
proprietari conviene tenerle sfitte, o sono troppo brutte e deteriorate, o
troppo care per chi le cerca. Bisognerebbe dirlo in modo meno schematico: ma
ogni discorso che enfatizza la quantità (più cemento, più cibo per ettaro, più
consumo dei suoli) odora di vecchio e/o di speculazione; ogni discorso sulla
qualità è vitale, socialmente generoso, culturalmente nuovo. Di questo scontro
epocale tra quantità mitizzata e qualità trascurata la politica discute
pochissimo. Anche per questo è sempre meno appassionante.
Michele Serra
("L'amaca", in "la Repubblica" - 29.10.2014)
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