Cercare pensieri profondi sulla morte è una cosa oscena. Indagare nella morte è sciocco e più convenzionale che tagliarsi i capelli di sabato pomeriggio. Questi specialisti della morte non li ho mai sopportati. Filosofi necrofili. Spreco d'intelligenze. E di massime fasulle. Paura e pietà, forse, sono sentimenti sufficienti e adeguati che possono ispirare il racconto privato di una morte e niente più di questo si può dire di una persona morta, che prima c'era e dopo non c'è più, a meno di disputarsi il suo cadavere in una zuffa teologica. Gli Ivan Il'ič marciano compatti verso il vuoto, affardellati di messaggi che ci commuovono torturandoci. C'è chi fa parlare i moribondi e addirittura i morti per farsi dare ragione da loro. Almeno sia per una buona causa, come quella di Dante, che ha richiamato indietro generazioni sepolte, resuscitando i suoi avversari letterari per mettere nelle loro bocche di zombie parole di pentimento. (Si tratta di un grande colpo di genio mai mandato a segno nelle manovre di guerra tra gruppi letterari, al cui confronto i manifesti futuristi sono palle di neve goliardiche: pensa, i tuoi nemici di sempre, ridotti a marionette, presi per la collottola da Dio in persona!) I morti parlanti che preferisco restano le mummie di Federico Ruysch. Guai a prendere sul serio la loro lugubre lagna. Quella bassa filosofia non va disgiunta dall'immaginazione del coro incartapecorito (B-movie dell'orrore) che schiamazza come a una tavolata d'osteria, con Federico incavolato sulla porta che solleva la lampada per scoprire chi sta facendo chiasso nel suo studio. Le figurine degli scheletri nelle feste messicane... Anche loro danno ragione a Giacomo Leopardi. La morte è oscena e semplice, un sibilo.
Da: Edoardo Albinati - Vita e morte di un ingegnere (2012)
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