Edoardo Albinati - Vita e morte di un ingegnere (2012)
Premessa: libro bellissimo, per forma e contenuto.
L’ingegnere del titolo è il padre di Edoardo Albinati: parlando di lui, l’autore mette subito in chiaro che l’uomo sociale viene prima, che l’attenzione prioritaria è legata alla realizzazione di sé nel lavoro, che la famiglia, i figli vengono dopo. (Siamo - occorre precisarlo - nel secolo scorso: oggi i padri sono mediamente più attenti al dialogo, più aperti... lo dico fiducioso, da padre...) In casa Albinati si parla poco: l’ingegnere è sfuggente, quando apre bocca è incline a un sarcasmo che smonta più che costruire.
Poi arriva la malattia, un cancro. L’uomo rimane sostanzialmente quello che è, con la sofferenza a complicare le cose; ci sarebbero più occasioni di dialogo, ma sfumano sempre, mancano le basi su cui costruirlo. Tra i problemi che si assommano c’è quello del rapporto con i medici: l’esperienza Albinati è delle più negative, e l’autore si sfoga, la categoria ne esce malissimo.
Poi arriva la morte, la morte di un padre: con il figlio accanto - comunque -, che gli tiene la mano, ma senza smancerie, senza enfasi. “La morte è oscena e semplice, un sibilo.” Fine.
(Un’osservazione: l’ingegner Carlo Albinati morì nel 1990, fa capire l’autore; il libro fu scritto - in parte? - qualche mese dopo, dice l’autore; esce nel 2012: una riflessione molto lunga, chissà come sono andate realmente le cose...)
Conclusione: libro bellissimo - ripeto -, scritto benissimo da un autore che non avevo ancora letto, e che intendo ritrovare presto sulla mia strada.
(Agli amici... lo consiglio.)